IL GIURAMENTO IPOCRITA O DI IPPOCRATE?
di
Domenico Conversa
Vorrei
di seguito commentare una triste vicenda che si sostanzia in una procedura giudiziaria
dinanzi al Tar Lazio. Mi è capitato per puro caso di imbattermi in tale
procedura e il mio stupore si è trasformato man mano in costernazione.
Il
sindacato dei Medici Italiani (S.M.I.) ha proposto ricorso dinanzi al Tar Lazio
contro la Regione Lazio chiedendo l’annullamento di una serie di provvedimenti della
stessa regione con cui si prevedeva che i Medici di Medicina Generale – MMG venivano
investiti di una funzione di assistenza domiciliare ai pazienti Covid. Secondo
il sindacato dei medici tale funzione è del tutto impropria perché i decreti
legge n. 14 e 18 del 2020 stabiliscono che dovrebbe spettare unicamente alle
Unità Speciali di Continuità Assistenziale (USCAR). Mentre i MMG dovrebbero
prestare assistenza domiciliare ordinaria e non per i pazienti Covid. Ad avviso
di chi scrive già questa presa di posizione del sindacato dei medici è deplorevole
sia dal punto di vista deontologico che soprattutto etico. Siamo nel bel mezzo
di un’emergenza sanitaria (a dire delle istituzioni) e il sindacato dei medici
italiani esilia la figura del medico ad attività ordinarie di assistenza domiciliare
abbandonando letteralmente il paziente covid al suo destino e nell’incertezza
delle cure e di assistenza. Siamo arrivati all’assurdo! Ma quello che fa
rabbrividire è che le così dette USCAR sono unità speciali organizzate dalle
regioni una ogni cinquantamila abitanti per la gestione domiciliare dei
pazienti covid che non necessitano di ricovero ospedaliero. E sì, avete letto
bene, una ogni cinquantamila abitanti. Quindi il sindacato dei medici italiani vuole
nascondere i medici di medicina generale, che continuano ad essere ben pagati
dal sistema sanitario pubblico, dall’emergenza covid disimpegnandoli sul
territorio lasciando che il singolo paziente venga assistito da un’unità
assistenziale che dovrebbe coprire cinquantamila cittadini. Questo è il piano
del governo per gestire l’emergenza sanitaria? Non c’è altro se non misure
restrittive, obblighi di indossare mascherine e tanta propaganda allarmistica.
Prevenzione, medicina sul territorio totalmente assenti. Ma continuiamo nella
vicenda giudiziaria di cui sopra. Il Tar Lazio investito del ricorso del
sindacato dei medici italiani cosa fa? Accoglie il ricorso (sentenza pubblicata il 16/11/2020 n. 11991/2020) con la seguente
motivazione: “Nel prevedere che le
Regioni istituiscono una unità speciale per la gestione domiciliare dei
pazienti affetti da covid-19 che non necessitano di ricovero ospedaliero, la
citata disposizione rende illegittima l’attribuzione di tale compito ai MMG,
che dovrebbero occuparsi soltanto dell’assistenza domiciliare ordinaria (non
Covid)” Pertanto anche ad avviso del Tar il paziente covid deve essere
lasciato solo in balia di paure e angoscia per l’assenza di indicazioni
terapeutiche e personale sanitario. Così sta accadendo che cittadini risultati
positivi al covid che non necessitano di ricovero ospedaliero si rechino in
ospedale intasandolo per assenza di assistenza domiciliare.
Fortunatamente
è stato proposto appello dalla Regione Lazio con l’intervento di tutte le altre
regioni a supporto. Il Consiglio di Stato con sentenza n. 08166/2020 pubblicata
il 18/12/2020 ha accolto l’appello ed ha respinto il ricorso del sindacato dei
medici italiani di primo grado. Il Consiglio di Stato così ha argomentato: “Trarre dalle disposizioni in commento, un
vero e proprio divieto per i medici di medicina generale di recarsi a domicilio
per assistere i propri pazienti alle prese con il virus, come sostenuto in
prime cure, costituirebbe, per converso, un grave errore esegetico,
suscettibile di depotenziare la risposta del sistema sanitario alla pandemia e
di provocare ulteriore e intollerabile disagio ai pazienti, che già affetti da
patologie croniche, si vedrebbero (e si sono invero spesso visti), una volta
colpiti dal virus, proiettati in una dimensione di incertezza e paura, e
finanche abbandonati dal medico che li ha sempre seguiti.” In altri termini
i medici di medicina generali, i pediatri di libera scelta devono assistere al
domicilio i pazienti covid e devono provvedere “in scienza e coscienza, nell’ambito della propria autonoma e libera
valutazione medica, che sia necessaria o preferibile l’intervento della
struttura di supporto” oppure il ricovero ospedaliero. Ma sappiamo tutti
quanti che questo non sta avvenendo. I medici di medicina generale, i pediatri
di libera scelta non visitano i pazienti covid. Se si è fortunati rispondono al
telefono dando indicazioni terapeutiche generiche e raffazzonate.
Quello che desta, ad avviso di chi scrive, molta preoccupazione è l’azione e la
presa di posizione del sindacato dei medici italiani. Perché hanno voluto
impugnare i provvedimenti della Regione Lazio e perché vorrebbero che i medici
che presidiano il territorio non provvedano ad assistere i pazienti covid? Cosa
rimane al cittadino se il proprio medico di riferimento non lo assiste? Tanta
paura e incertezza, è evidente! Mi chiedo che fine ha fatto il giuramento di
ippocrate! Perché appellarsi a cavilli giuridici al fine di abbandonare i
propri pazienti?
La
visita domiciliare del proprio assistito costituisce parte integrante dei
compiti del medico di medicina generale, in specie nell’attuale fase
epidemiologica in cui l’elevatissimo numero di contagi richiede sinergia degli
interventi e pluralità di risorse mediche. Sono principi ragionevoli che non
dovrebbero essere messi in discussione con una disputa giudiziaria. Ma oggi
viviamo sulla nostra pelle il grottesco e l’inverosimile.
Giuramento di Ippocrate
Il giuramento, nella forma qui sotto riportata, è stato deliberato dal comitato centrale della Federazione nazionale degli ordini dei medici e degli odontoiatri il 13 giugno 2014
«Consapevole dell'importanza e della solennità dell'atto che compio e dell'impegno che assumo, giuro:
- di esercitare la medicina in autonomia di giudizio e responsabilità di comportamento contrastando ogni indebito condizionamento che limiti la libertà e l'indipendenza della professione;
- di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica, il trattamento del dolore e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della dignità e libertà della persona cui con costante impegno scientifico, culturale e sociale ispirerò ogni mio atto professionale;
- di curare ogni paziente con scrupolo e impegno, senza discriminazione alcuna, promuovendo l'eliminazione di ogni forma di diseguaglianza nella tutela della salute;
- di non compiere mai atti finalizzati a provocare la morte;
- di non intraprendere né insistere in procedure diagnostiche e interventi terapeutici clinicamente inappropriati ed eticamente non proporzionati, senza mai abbandonare la cura del malato;
- di perseguire con la persona assistita una relazione di cura fondata sulla fiducia e sul rispetto dei valori e dei diritti di ciascuno e su un'informazione, preliminare al consenso, comprensibile e completa;
- di attenermi ai principi morali di umanità e solidarietà nonché a quelli civili di rispetto dell'autonomia della persona;
- di mettere le mie conoscenze a disposizione del progresso della medicina, fondato sul rigore etico e scientifico della ricerca, i cui fini sono la tutela della salute e della vita;
- di affidare la mia reputazione professionale alle mie competenze e al rispetto delle regole deontologiche e di evitare, anche al di fuori dell'esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il decoro e la dignità della professione;
- di ispirare la soluzione di ogni divergenza di opinioni al reciproco rispetto;
- di prestare soccorso nei casi d'urgenza e di mettermi a disposizione dell'Autorità competente, in caso di pubblica calamità;
- di rispettare il segreto professionale e di tutelare la riservatezza su tutto ciò che mi è confidato, che osservo o che ho osservato, inteso o intuito nella mia professione o in ragione del mio stato o ufficio;
- di prestare, in scienza e coscienza, la mia opera, con diligenza, perizia e prudenza e secondo equità, osservando le norme deontologiche che regolano l'esercizio della professione.»