Nulla sarà più come prima?
di
Domenico Conversa
Il “Nulla sarà più come prima” è diventato un imperativo comunicativo che è entrato nelle nostre vite e penetrato nelle nostre coscienze. Il coronavirus ha destabilizzato la nostra società e il nostro vivere quotidiano. Cosa sta accadendo e cosa accadrà al nostro futuro? Ansia, angoscia e paura sono le emozioni che giornalmente viviamo all’ascolto dell’ennesimo bollettino dei contagi che i telegiornali mandano in onda anche più volte al giorno. Distanziamento sociale, mascherine, zone rosse, lockdown, restate a casa, negazionismo sono diventate quelle parole di una neolingua che catastrofizza la nostra percezione del reale. Il “Nulla sarà più come prima” obbliga ognuno di noi, prima individualmente e poi collettivamente, a diventare parte attiva e consapevole di questa trasformazione sociale perché interessa la nostra vita e quella dei nostri cari. Per far questo è necessario saper osservare la realtà per non diventare preda di paure e preoccupazioni infondate e per contribuire positivamente al benessere della collettività. Siamo cittadini di una comunità e i doveri di solidarietà che ne derivano ci impongono di intervenire con lucidità.
Con deliberazione del 31/01/2020 il
Consiglio dei Ministri italiano ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale
in conseguenza del rischio sanitario derivante dal covid-19. Successivamente è
stata emanata una normativa che di fatto ha sacrificato beni costituzionalmente
garantiti. La tutela del diritto collettivo alla salute ha portato ad immolare
sull’altare sacrificale le libertà individuali dei singoli: la libertà di
circolare liberamente, il diritto di riunirsi, il diritto di iniziativa
economica, la libertà di culto religioso. Tale normativa è consistita
principalmente in DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri) e ordinanze
del Ministero della Salute. Questa tecnica legislativa ha fatto nascere
l’interrogativo circa la legittimità di tali norme. I reati posti a presidio
del rispetto delle norme anti covid hanno ceduto il passo a mere sanzioni
amministrative. Le violazioni alle norme sono state configurate come illeciti
amministrativi secondo la previsione della legge n. 689 del 1981, la stessa che
disciplina le violazioni al Codice della Strada. Le norme emanate, forse per la
fretta di emanarle, non sono state molto chiare circa la tipizzazione dei
comportamenti illeciti demandando alle forze dell’ordine un ruolo
d’interpretazione assolutamente illegittimo. Molto interessante, a tal
proposito, è stata la sentenza n. 516/2020 del Giudice di Pace di Frosinone del
15/07/2020 con cui è stata annullata una sanzione ammnistrativa elevata dalla
Polizia Stradale di Frosinone contro un cittadino perchè aveva violato il
divieto di spostarsi dal proprio domicilio in conseguenza della emergenza
sanitaria. Le motivazioni del Giudice sono assolutamente sorprendenti quanto
logiche e giuridicamente condivisibili.
Prima di tutto il Giudice ritiene che la
dichiarazione dello stato di emergenza adottata dal Consiglio dei Ministri il
31/01/2020 è illegittima perché emanata in assenza di presupposti legislativi,
in quanto non è presente nell’ordinamento giuridico nessuna fonte
costituzionale o avente forza di legge ordinaria che può attribuire il potere
al Consiglio dei Ministri di dichiarare uno stato di emergenza per rischio
sanitario. Da ciò risulta la illegittimità di tutti gli atti amministrativi
conseguenti, come i DPCM invocati nei verbali delle forze dell’ordine e la
conseguente nullità di quest’ultimi. Altro motivo degno di essere portato
all’attenzione pubblica è il riferimento all’art. 13 della Costituzione. Sempre
secondo il Giudice di Pace di Frosinone qualsiasi divieto generale ed assoluto
di spostamento al di fuori della propria abitazione, con limitate e specifiche
eccezioni, configura un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare. Nella
giurisprudenza è indiscusso che l’obbligo di permanenza domiciliare costituisce
una misura restrittiva della libertà personale. Orbene, l’art. 13 della Costituzione
stabilisce che le misure restrittive della libertà personale possono essere
adottate solo su motivato atto dell’autorità giudiziaria. Pertanto, neppure una
legge potrebbe prevedere nel nostro ordinamento l’obbligo della permanenza
domiciliare senza violare la disposizione del citato articolo 13.
A tutto questo si dovrebbe aggiungere il
fatto che qualora un pubblico ufficiale irroghi una sanzione amministrativa
manifestamente illegittima apparirebbe integrato il reato di abuso di ufficio
ai sensi dell’art. 323 del codice penale. La condotta, infatti, sarebbe idonea
ad arrecare un danno ingiusto al privato, almeno nell’accezione di anticipo
delle spese per l’impugnazione della sanzione e nel turbamento nel godimento
dei suoi diritti costituzionalmente garantiti.
Chiaramente si potrebbe obiettare a
tutto questo che i vizi di legalità qui contestati alle misure di contenimento
sono giustificate per contrastare il diffondersi di un virus mortale che ha
provocato una pandemia a livello globale. Quindi bisognava fare in fretta per
salvare tante vite umane prevenendo il rischio di contagio sacrificando le
libertà personali anche a discapito delle regole. Questo è un ragionamento che
ha un senso ed una sua logica se si ammettesse per vero il presupposto dell’esistenza
della pericolosità probabilistica del rischio sanitario. Considerato che sono
state ristrette le libertà individuali di tutti e che tali restrizioni sono
ancora attuali (obbligo di indossare le mascherine e divieto di creare
assembramento) e che possono nuovamente essere perpetrate e acutizzate, è
doveroso analizzare con senso logico la questione.
Le misure di contenimento rispondono al
principio di precauzione che è quel principio secondo il quale bisogna assumere
un approccio cautelativo adottando misure efficaci e proporzionate dirette a
prevenire un rischio di un danno grave e irreversibile. Il principio di
precauzione, in altri termini, determina la necessità di un atteggiamento di
cautela intesa come anticipazione preventiva del rischio di fronte
all’incertezza scientifica. Proprio per tale incertezza scientifica (sulla
misura e pericolosità della trasmissione del virus) sono state applicate le
misure di contenimento in modo cautelativo. Il principio di precauzione è
collegato a quello di responsabilità che si sostanzia nell’esigenza etica di
valutare il rischio che si vorrebbe evitare adottando misure precauzionali. Si
tratta di stabilire se tale rischio sia fondato, se ciò che è noto circa la
fondatezza di tale rischio giustifichi l’adozione di provvedimenti cautelativi
e se tali provvedimenti si armonizzino con il principio di proporzionalità. A
questo punto è assolutamente necessario conoscere i criteri di identificazione e
valutazione del rischio adottati dagli esperti del Governo che hanno portato al
sacrificio delle nostre libertà individuali. Il possibile danno
deve essere sempre legato alla probabilità del suo verificarsi attraverso
frequenze statistiche utilizzate quest’ultime nella gestione di qualsivoglia
rischio sanitario. Nel caso del covid-19 i criteri di valutazione del rischio
sanitario non sono assolutamente chiari in quanto la comunicazione televisiva
di telegiornali e trasmissioni di intrattenimento (uniche fonti pubbliche di
informazione) sciorinano numeri e dati non comprensibili per il pubblico
uditore. E’ una comunicazione che predilige l’enfasi del sensazionalismo dei
numeri e della paura, anziché trasparenza e comprensibilità dei dati
statistici. Per il cittadino è quasi impossibile accedere a dati certi e
intellegibili. L’unica fonte ufficiale a cui poter far riferimento è l’Istituto
Superiore di Sanità che sul sito di Epicentro certifica al primo settembre 2020
circa 35 mila decessi. Secondo l’Istituto l’età media dei pazienti deceduti e positivi a SARS-CoV-2 è 80 anni. Da
questo si desume che la cause dei decessi non è direttamente collegabile al
coronavirus. Non si comprende se i decessi siano avvenuti a causa del covid o
con il covid. Ma anche ammettendo che i 35 mila decessi siano avvenuti a causa
del covid (cosa molto improbabile), calcolando la percentuale sul numero della
popolazione italiana (60 milioni) avremmo 0,06%. A
livello mondiale la percentuale si abbassa fino ad arrivare allo 0,0113%
calcolando che sono stati certificati circa 840 mila decessi su di una
popolazione di 7,4 miliardi di persone. Questi numeri giustificano le misure di
restrizioni delle nostre libertà individuali?
Decisioni che prevedono l’applicazione
di misure precauzionali che limitano di fatto diritti e libertà fondamentali
devono tener conto che in gioco ci sono tre attori: il decisore, l’esperto, il
cittadino. Quest’ultimo deve partecipare alle decisioni che possono incidere
sulla sicurezza della propria salute. Allontanare ed etichettare ogni voce
dissonante come complottismo e negazionismo non fa che far crescere lo
scetticismo ormai diffuso in larga parte della popolazione. L’obiettivo da
perseguire è quello di rispristinare la fiducia tra responsabili politici,
tecnici e cittadini, nella consapevolezza che la fiducia costituisce una
risorsa sostanziale e fondamentale delle società complesse. Per far questo
bisogna pretendere che la comunicazione e l’informazione sia quanto più
trasparente ed obiettiva possibile. Diventa cruciale il problema della fiducia
della società nei confronti della scienza. Il diritto suggerisce il modello
della scienza pubblica in cui non solo ci deve essere la validazione tecnica,
ma anche la partecipazione democratica alle decisioni. In condizioni di
incertezza scientifica, la democratizzazione delle competenze scientifiche è
fondamentale e a tal fine il dibattito scientifico deve includere anche le
opinioni minoritarie e dissenzienti.
Gli scienziati e gli esperti non
dovrebbero essere qualificati i soli legittimati ad assumere decisioni che
possono condizionare i diritti fondamentali dell’individuo. Il Consiglio
Europeo di Nizza nel dicembre 2000 ha affermato la necessità che l’autorità
pubblica nella valutazione del rischio garantisca pluralità di prospettive,
indipendenza e trasparenza. Inoltre devono essere riportati nei documenti
ufficiali degli esperti i pareri minoritari.
Alla luce di ciò, è quanto mai urgente che il Governo italiano si apra ai processi di consultazione al pubblico e alle parti interessate, fornendo loro occasioni e strumenti che consentano di contribuire al dibattito e anche di contestare gli esperti o i loro poteri. Il cittadino non vuole essere escluso dalle decisioni che lo interessano. Fra la gente comune vi sono molte persone scientificamente preparate ed esperte. Sono tutte risorse e potenzialità utili alle scelte democratiche.
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