giovedì 3 settembre 2020

Nulla sarà più come prima?

 

Nulla sarà più come prima?

di

Domenico Conversa


Il “Nulla sarà più come prima” è diventato un imperativo comunicativo che è entrato nelle nostre vite e penetrato nelle nostre coscienze. Il coronavirus ha destabilizzato la nostra società e il nostro vivere quotidiano. Cosa sta accadendo e cosa accadrà al nostro futuro? Ansia, angoscia e paura sono le emozioni che giornalmente viviamo all’ascolto dell’ennesimo bollettino dei contagi che i telegiornali mandano in onda anche più volte al giorno. Distanziamento sociale, mascherine, zone rosse, lockdown, restate a casa, negazionismo sono diventate quelle parole di una neolingua che catastrofizza la nostra percezione del reale. Il “Nulla sarà più come prima” obbliga ognuno di noi, prima individualmente e poi collettivamente, a diventare parte attiva e consapevole di questa trasformazione sociale perché interessa la nostra vita e quella dei nostri cari. Per far questo è necessario saper osservare la realtà per non diventare preda di paure e preoccupazioni infondate e per contribuire positivamente al benessere della collettività. Siamo cittadini di una comunità e i doveri di solidarietà che ne derivano ci impongono di intervenire con lucidità.

Con deliberazione del 31/01/2020 il Consiglio dei Ministri italiano ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale in conseguenza del rischio sanitario derivante dal covid-19. Successivamente è stata emanata una normativa che di fatto ha sacrificato beni costituzionalmente garantiti. La tutela del diritto collettivo alla salute ha portato ad immolare sull’altare sacrificale le libertà individuali dei singoli: la libertà di circolare liberamente, il diritto di riunirsi, il diritto di iniziativa economica, la libertà di culto religioso. Tale normativa è consistita principalmente in DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri) e ordinanze del Ministero della Salute. Questa tecnica legislativa ha fatto nascere l’interrogativo circa la legittimità di tali norme. I reati posti a presidio del rispetto delle norme anti covid hanno ceduto il passo a mere sanzioni amministrative. Le violazioni alle norme sono state configurate come illeciti amministrativi secondo la previsione della legge n. 689 del 1981, la stessa che disciplina le violazioni al Codice della Strada. Le norme emanate, forse per la fretta di emanarle, non sono state molto chiare circa la tipizzazione dei comportamenti illeciti demandando alle forze dell’ordine un ruolo d’interpretazione assolutamente illegittimo. Molto interessante, a tal proposito, è stata la sentenza n. 516/2020 del Giudice di Pace di Frosinone del 15/07/2020 con cui è stata annullata una sanzione ammnistrativa elevata dalla Polizia Stradale di Frosinone contro un cittadino perchè aveva violato il divieto di spostarsi dal proprio domicilio in conseguenza della emergenza sanitaria. Le motivazioni del Giudice sono assolutamente sorprendenti quanto logiche e giuridicamente condivisibili.

Prima di tutto il Giudice ritiene che la dichiarazione dello stato di emergenza adottata dal Consiglio dei Ministri il 31/01/2020 è illegittima perché emanata in assenza di presupposti legislativi, in quanto non è presente nell’ordinamento giuridico nessuna fonte costituzionale o avente forza di legge ordinaria che può attribuire il potere al Consiglio dei Ministri di dichiarare uno stato di emergenza per rischio sanitario. Da ciò risulta la illegittimità di tutti gli atti amministrativi conseguenti, come i DPCM invocati nei verbali delle forze dell’ordine e la conseguente nullità di quest’ultimi. Altro motivo degno di essere portato all’attenzione pubblica è il riferimento all’art. 13 della Costituzione. Sempre secondo il Giudice di Pace di Frosinone qualsiasi divieto generale ed assoluto di spostamento al di fuori della propria abitazione, con limitate e specifiche eccezioni, configura un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare. Nella giurisprudenza è indiscusso che l’obbligo di permanenza domiciliare costituisce una misura restrittiva della libertà personale. Orbene, l’art. 13 della Costituzione stabilisce che le misure restrittive della libertà personale possono essere adottate solo su motivato atto dell’autorità giudiziaria. Pertanto, neppure una legge potrebbe prevedere nel nostro ordinamento l’obbligo della permanenza domiciliare senza violare la disposizione del citato articolo 13.

A tutto questo si dovrebbe aggiungere il fatto che qualora un pubblico ufficiale irroghi una sanzione amministrativa manifestamente illegittima apparirebbe integrato il reato di abuso di ufficio ai sensi dell’art. 323 del codice penale. La condotta, infatti, sarebbe idonea ad arrecare un danno ingiusto al privato, almeno nell’accezione di anticipo delle spese per l’impugnazione della sanzione e nel turbamento nel godimento dei suoi diritti costituzionalmente garantiti.

Chiaramente si potrebbe obiettare a tutto questo che i vizi di legalità qui contestati alle misure di contenimento sono giustificate per contrastare il diffondersi di un virus mortale che ha provocato una pandemia a livello globale. Quindi bisognava fare in fretta per salvare tante vite umane prevenendo il rischio di contagio sacrificando le libertà personali anche a discapito delle regole. Questo è un ragionamento che ha un senso ed una sua logica se si ammettesse per vero il presupposto dell’esistenza della pericolosità probabilistica del rischio sanitario. Considerato che sono state ristrette le libertà individuali di tutti e che tali restrizioni sono ancora attuali (obbligo di indossare le mascherine e divieto di creare assembramento) e che possono nuovamente essere perpetrate e acutizzate, è doveroso analizzare con senso logico la questione.

Le misure di contenimento rispondono al principio di precauzione che è quel principio secondo il quale bisogna assumere un approccio cautelativo adottando misure efficaci e proporzionate dirette a prevenire un rischio di un danno grave e irreversibile. Il principio di precauzione, in altri termini, determina la necessità di un atteggiamento di cautela intesa come anticipazione preventiva del rischio di fronte all’incertezza scientifica. Proprio per tale incertezza scientifica (sulla misura e pericolosità della trasmissione del virus) sono state applicate le misure di contenimento in modo cautelativo. Il principio di precauzione è collegato a quello di responsabilità che si sostanzia nell’esigenza etica di valutare il rischio che si vorrebbe evitare adottando misure precauzionali. Si tratta di stabilire se tale rischio sia fondato, se ciò che è noto circa la fondatezza di tale rischio giustifichi l’adozione di provvedimenti cautelativi e se tali provvedimenti si armonizzino con il principio di proporzionalità. A questo punto è assolutamente necessario conoscere i criteri di identificazione e valutazione del rischio adottati dagli esperti del Governo che hanno portato al sacrificio delle nostre libertà individuali. Il possibile danno deve essere sempre legato alla probabilità del suo verificarsi attraverso frequenze statistiche utilizzate quest’ultime nella gestione di qualsivoglia rischio sanitario. Nel caso del covid-19 i criteri di valutazione del rischio sanitario non sono assolutamente chiari in quanto la comunicazione televisiva di telegiornali e trasmissioni di intrattenimento (uniche fonti pubbliche di informazione) sciorinano numeri e dati non comprensibili per il pubblico uditore. E’ una comunicazione che predilige l’enfasi del sensazionalismo dei numeri e della paura, anziché trasparenza e comprensibilità dei dati statistici. Per il cittadino è quasi impossibile accedere a dati certi e intellegibili. L’unica fonte ufficiale a cui poter far riferimento è l’Istituto Superiore di Sanità che sul sito di Epicentro certifica al primo settembre 2020 circa 35 mila decessi. Secondo l’Istituto l’età media dei pazienti deceduti e positivi a SARS-CoV-2 è 80 anni. Da questo si desume che la cause dei decessi non è direttamente collegabile al coronavirus. Non si comprende se i decessi siano avvenuti a causa del covid o con il covid. Ma anche ammettendo che i 35 mila decessi siano avvenuti a causa del covid (cosa molto improbabile), calcolando la percentuale sul numero della popolazione italiana (60 milioni) avremmo 0,06%. A livello mondiale la percentuale si abbassa fino ad arrivare allo 0,0113% calcolando che sono stati certificati circa 840 mila decessi su di una popolazione di 7,4 miliardi di persone. Questi numeri giustificano le misure di restrizioni delle nostre libertà individuali?

Decisioni che prevedono l’applicazione di misure precauzionali che limitano di fatto diritti e libertà fondamentali devono tener conto che in gioco ci sono tre attori: il decisore, l’esperto, il cittadino. Quest’ultimo deve partecipare alle decisioni che possono incidere sulla sicurezza della propria salute. Allontanare ed etichettare ogni voce dissonante come complottismo e negazionismo non fa che far crescere lo scetticismo ormai diffuso in larga parte della popolazione. L’obiettivo da perseguire è quello di rispristinare la fiducia tra responsabili politici, tecnici e cittadini, nella consapevolezza che la fiducia costituisce una risorsa sostanziale e fondamentale delle società complesse. Per far questo bisogna pretendere che la comunicazione e l’informazione sia quanto più trasparente ed obiettiva possibile. Diventa cruciale il problema della fiducia della società nei confronti della scienza. Il diritto suggerisce il modello della scienza pubblica in cui non solo ci deve essere la validazione tecnica, ma anche la partecipazione democratica alle decisioni. In condizioni di incertezza scientifica, la democratizzazione delle competenze scientifiche è fondamentale e a tal fine il dibattito scientifico deve includere anche le opinioni minoritarie e dissenzienti.

Gli scienziati e gli esperti non dovrebbero essere qualificati i soli legittimati ad assumere decisioni che possono condizionare i diritti fondamentali dell’individuo. Il Consiglio Europeo di Nizza nel dicembre 2000 ha affermato la necessità che l’autorità pubblica nella valutazione del rischio garantisca pluralità di prospettive, indipendenza e trasparenza. Inoltre devono essere riportati nei documenti ufficiali degli esperti i pareri minoritari.

Alla luce di ciò, è quanto mai urgente che il Governo italiano si apra ai processi di consultazione al pubblico e alle parti interessate, fornendo loro occasioni e strumenti che consentano di contribuire al dibattito e anche di contestare gli esperti o i loro poteri. Il cittadino non vuole essere escluso dalle decisioni che lo interessano. Fra la gente comune vi sono molte persone scientificamente preparate ed esperte. Sono tutte risorse e potenzialità utili alle scelte democratiche.

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